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18 luglio 2005

MARAUDER - “Life?” (Eat Metal Records, 2004)

Forti di questo terzo album, dopo il concept “1821” (dedicato alla rivoluzione della Grecia contro i Turchi) uscito per la braziliana Megahard, riecco all’attacco i power metallers greci MARAUDER sulla sempre attiva Eat Metal Records.
La terra ellenica propone un altro tassello del suo mosaico, la recente rinascita del metal classico, in cui i MARAUDER si distinguono con disinvoltura, grazie a composizioni piacevoli e ad un cantante di razza.
Cercando di evitare i molti cliché di sorta, sempre in agguato quando ci si muove su terreni stra-battuti, la band confeziona un pregevole CD, con qualche filler di troppo ma generalmente di buon spessore. La produzione sufficientemente nitida di Nikos Spiropoulos mette in luce una line-up affiatata e valorizza l’ugola di Mr. Smeros, a suo agio ed espressiva su tutto lo spettro di cui è dotata. La velocità non eccessiva di molte delle tracks consente al gruppo di concentrarsi sugli arrangiamenti, che nella loro essenzialità mantengono tuttavia intatta l’identità delle singole canzoni. Tra scuola tedesca (cori in stile epic teutonico), ammiccamenti americani alla RIOT, VIRGIN STEELE, IRON MAIDEN e certe produzioni sacndinave (diciamo STRATOVARIUS, ma senza troppi MALMSTEENismi di sorta), i MARAUDER pescano dove possono cercando soluzioni personali. Quando la band punta invece sul velocismo, finisce con l’accostarsi a prodotti meno pregiati, avendo in questo settore il solo singer come arma vincente.
Un’occhiata rapida alla tracklist è d’obbligo. Carina l’iniziale “Power From The Sky”, con la classica e apparentemente “sempre vncente” combinazione: doppia cassa, voce acuta, chitarre ruvide sulle ritmiche ed affilate nei solos. Certo la linearità è una componente costante nell’album, quindi dimentichiamoci decise sterzate stilistiche e sorprese di sorta: qui siamo su coordinate classicissime.
BRUCE DICKINSON ed il primo GEOFF TATE fanno capolino nella meditata e riuscita “Nightmare”, che inizia a dare un’idea più ampia del terreno battutto dai greci.
Se invece prediligete le fast tracks con linee vocali assassine ed altissime, consiglio vivamente l’HALFORDiana “Magic Art”, malamente sfregiata dal solito coro alla “siamo metallari e cantiamo tutti insieme”, ma per il resto veramente entusiasmante, esecuzione inclusa.
Davvero interessante l’approccio melodico del brano che dà il titolo all’album, un ponderato ed epico inno tra RIOT e birraioli tedeschi. Fortunatamente fa sempre bella mostra di sé qualche dettaglio che alza le quotazioni dei singoli pezzi, anche quando pare scadere nel deja-vu. Qui in particolare brilla una breve ed inaspettata apertura sinfonica centrale.
“Bastards”, “Evil Curse” e “Runner” mostrano i muscoli e premono sul gas per non far abbassare il tono del CD, con stacchi indicati e ottimi cori. Le melodie, quando utilizzate, non risultano eccessivamente stucchevoli, il che è per il sottoscritto un lato più che positivo.
Aperta da un semplice e delicato motivo acustico, “Falling Star” è un mid tempo variegato che si muove tra vecchi JUDAS PRIEST, RIOT e FIFTH ANGEL, con fraseggi chitarristici MAIDENiani ben piazzati. A mio avviso uno dei punti più alti del disco.
Dopo una serie di brani di buon livello, “Death From Glory And Gold” risente di influenze HELLOWEEN, e qui siete voi che dovete decidere se sia un pregio o un difetto.
L’ascolto globale e ripetuto dell’album, aldilà delle preferenze personali per questo o quello, lascia all’ascoltatore l’idea di un gruppo valido, dal solido e consapevole retroterra, dotato di buone individualità e con entusiasmo da vendere. Da tenere d’occhio è soprattutto il singer Michalis Smeros, foriero di estensione ed espressività che lo fanno elevare al di sopra della media della scena power attuale. La considerazione avviene basandosi sulla convinzione diffusa che la media sia tuttora rappresentata da TIMO KOTIPELTO.
Personalmente difetti ne trovo solo quando i ragazzi cercano di andare oltre le proprie capacità (giusto in un paio di punti comunque), ovvero nel tentativo di combinare troppe scuole diverse, per quanto classiche, ed in “Nuclear Terror” (le chitarre qui cercano di strafare, sfigurando in pulizia d’esecuzione; peccato, perché l’incedere ritmico tremendamente alla SANTUARY è da applauso). Piccoli appunti e squisitamente soggettivi, nulla più.

I brani sono molti e nei 57 minuti di musica a loro disposizione i MARAUDER cercano effettivamente di dare il meglio e mostrare come la Grecia abbia da offrire qualcosa di più che una medaglia d’oro ignobilmente rubata agli anelli (ogni riferimento alle recenti Olimpiadi è puramente voluto…).

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