L.A. GUNS - "Rips The Covers Off" (Mascot, 2004)
Ho sempre adorato la voce di Phil Lewis, sgraziata, viziosa e vissuta, al pari di Tyla dei DOGS D’AMOUR e Michael Monroe degli storici HANOI ROCKS. Mentre queste due ultime band sono ritornate dopo anni di polvere e ricordi (sebbene con risultati nettamente a favore dei secondi), gli L.A. GUNS non hanno mai mollato. Cambi di line-up ed una discografia altalenante ne hanno minato la popolarità durante gli anni novanta e solo con l’ultimo “Waking The Dead” del 2002 le pistole losangeline sono tornate a brillare di luce propria. Giunti al 2004 arriva il turno dell’album di cover, e manca all’appello proprio la sei corde del membro fondatore, quel Tracii Guns da cui deriva il nome del gruppo, già “prime mover” dei GUNS N’ROSES assieme ad Axl Rose (ora qualcuno se ne uscirà con “ecco perché si chiamavano così!”…). Poco importa dopotutto, visto che il risultato finale è più che soddisfacente: la voce dell’ex GIRL e TORMÉ basta da sola a rinverdire gli antichi fasti dello street/rock’n’roll, e seduto dietro le pelli abbiamo l’altro membro storico Steve Riley, già alla corte di Blackie Lawless, altro “must” del genere.
Molto piacevole nel complesso, l’album tributa una gamma eterogenea di artisti passati e presenti, europei ed americani, e riserva anche una sorpresa per i lettori più conservatori di HAMMERBLOW: la traccia numero cinque parla da sola! Ma andiamo per ordine.
Ottima l’apertura di “Rock And Roll Outlaw” dei seminali rockers ROSE TATTOO, anthem decisamente in linea con quanto partorito in passato dai Guns stessi. Snella e nervosa, “I Just Want To Make Love” omaggia i FOGHAT e ben si colloca prima di “Tie Your Mother Down” (c’è bisogno di specificare di chi?), inferiore alla versione proposta in passato dagli W.A.S.P. ma comunque all’altezza. La band regge bene le prove, non stravolgendo gli originali e mantenendo un’impronta propria abbastanza omogenea.
Vera perla del catalogo HANOI ROCKS, viene poi rispolverata quella “Until I Get You” che ben rappresenta la tesa e romantica vena rock del combo finlandese. E’ bello sentirla interpretata da un Lewis ispirato e passionale, benché non ci sia verso di accostarsi allo splendore decadente dell’originale, alla sguaiata e sanguigna voce di Monroe.
Eccoci quindi all’inattesa impresa “metal” del CD: “Wheels Of Steel” prende i SAXON e in quattro minuti e mezzo li trasforma in un gruppo street. Clamorosamente fedele all’originale, assurdamente assimilabile al materiale del primo album omonimo dei Guns! Ciò ad ennesima riprova di come il rock and roll, tra sottogeneri ed etichette più o meno risibili, abbia solo una prerogativa ed un motivo d’essere: rockare. E “Wheels Of Steel”, così come Phil Lewis e soci, non si sottrae alla regola, indipendentemente da disquisizioni su cosa sia “true” e cosa no.
Segue a ruota “Nobody’s Fault” degli AEROSMITH, costante fonte di ispirazione dei nostri, che già in passato sfiorarono il plagio su “Vicious Circle”, la cui “Chasing The Dragon” risultava ben più di un innocente omaggio a “Sweet Emotion”. Prova convincente.
“Custard Pie” degli Zeppelin scorre senza sussulti (certo, un Bonham qualunque avrebbe fatto una differenza abissale) e ci porta alla seconda parte del CD, lievemente sottotono e dalle scelte meno dirette. Troviamo difatti la pur buona “Moonage Daydream” (DAVID BOWIE), una discreta ma lineare “Marseilles” (ANGEL CITY) e, permettetemelo, la squallida “Hurdy Gurdy Man” (DONOVAN).
Per fortuna la chiusura è riservata a “Search And Destroy” dei selvaggi STOOGES. Chiaramente qui siamo anni luce dalla cricca di Iggy Pop, imbattibile in termini di nichilismo rock ed attitudine bastarda. Il risultato è una reinterpretazione alla MONSTER MAGNET, rock sì ma molto più “educata” dell’originale. Un ripescaggio fondamentale, visto il proliferare di acts scandinavi, già da fine ’90 impegnati nella ricerca delle radici di questa musica (BACKYARD BABIES, MARYSLIM, TURBONEGRO, HARDCORE SUPERSTAR ed i promettenti TRIGGER, sulla nostrana Nicotine Records). A questo punto anche un brano di MC5, DICTATORS, NEW YORK DOLLS o JOHNNY THUNDERS non avrebbe sfigurato, ma mi ritengo già “ripagato” così (non sono in molti a ricordarsi chi devono ringraziare, così come non sono molti coloro che distinguono un gruppo rock da una bufala glam; così un promemoria firmato L.A. Guns soddisfa chi, come me, è in polemica sullo street da sempre…).
Le due bonus track sono brani propri, estratti dall’ultima fatica in studio e catturati live. Purtroppo “Revolution” soffre di un’esecuzione non impeccabile, con rallentamenti inspiegabili e la voce dell’inglese evidentemente appannata; la registrazione molto cruda penalizza la chitarra e rende fiacco l’insieme.
Migliore la prestazione complessiva della seguente “Don’t Look At Me That Way”, song dalla cadenza oscura, già convincente in studio e salvata dal pathos del gruppo.
In definitiva, se spesso i tribute album sono solo occasioni per racimolare qualche dollaro (o per adempimento di obblighi contrattuali, come nel caso del cover EP “Cuts”, che proprio i Guns sfornarono senza molto successo nel ’92), quantomeno questo “Rips The Covers Off” si salva per un’onestà di fondo nel materiale selezionato. Pagare pegno alle muse ispiratrici del rock è talvolta onere ancorché onore, ed il CD non scade mai nella riesumazione fine a se stessa, ricordando a chi di dovere da dove venga il rock and roll, dalle pieghe sleazy e glitter alla crudezza muscolare. Senza remore, senza etichette.
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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