EXODUS - "Tempo Of The Damned" (Nuclear Blast, 2004)
Inaugurando le recensioni 2004 con l’intro più inutile della storia (“Star Spangled Banner” in versione ICED EARTH, comunque apertura di un album bellissimo), pare ironia della sorte ritrovarci di fronte, a distanza di un mese, con l’opener dei rinati, attesi e stimatissimi EXODUS: “Scar Spangled Banner”! Sarò didascalico, ma merita di essere citata: “Red – the beautiful color of blood – flowing like a stream – White – the color of bleaching bone – lovely and obscene – Blue – the bruising color of flesh – battered, ripped and torn – The colors of the flag of hate – of violence and porn – What you see is what you get – You haven’t seen the bloody trail yet – I’m no patriot, just a hate-riot”. Prendere e portare a casa, come si suol dire…
Steve “Zetro” Souza, redivivo e redento dietro al microfono, rappresenta la conferma più tangibile di questa spettacolare e storica thrash reunion. Dopo l’ultimo album in studio che lo vedeva della partita (quel “Force Of Habit” del ’92 che rappresentò il canto del cigno per questi pilastri della Bay Area) abbiamo assistito allo stallo e ai vari atterraggi di fortuna degli EXODUS: rientro tra i ranghi del primo singer PAUL BALOFF (R.I.P.), un paio di inutili live albums per riempire un’attesa apparentemente infinita, partecipazioni a festivals tra alti e bassi, triste scomparsa dello stesso Baloff ed infine ricongiungimento con Souza (apparso talvolta dal vivo anche coi TESTAMENT, suoi ex-compagni nell’era pre-discografica sotto il moniker LEGACY).
Tanto per “urinare” controvento, dirò subito che “Tempo Of The Damned” non è un capolavoro come annunciato da più parti (vedremo perché). Ma è in assoluto una delle rentrée thrash più convincenti, questo sì. In linea con altri mostri della vecchia scena pronti al ritorno o già ufficialmente scesi in campo (DEATH ANGEL, VIO-LENCE, NUCLEAR ASSAULT, DESTRUCTION tra le prime file; ARTILLERY ed AGENT STEEL a qualche lunghezza) i nostri confermano di non esser tornati solo per reclamare un posto nella storia, o per racimolare qualche dollaro con le t-shirt. Gli EXODUS sono tornati per proseguire l’opera di massiccia distruzione iniziata col seminale e feroce “Bonded By Blood” (un “Kill’Em All” più schizofrenico e marcio) tanti anni orsono, e perpetrata poi con letali dosi di thrash quadratissimo: lezioni di violenza ripassabili con “Pleasures Of The Flesh”, “Fabulous Disaster” ed “Impact Is Imminent”.
Perché tale opera rimase disattesa lo sanno tutti coloro che seguivano la scena thrash allora. I METALLICA (che proprio dagli EXODUS prelevarono il discutibile HAMMETT) hanno sempre dettato legge in fatto di stile e tutti, volenti o nolenti (ovvero: a seconda della casa discografica), hanno finito col voler seguire i loro standard di suono, composizione e produzione. Ecco perché il grunge da una parte ed il “black album” dall’altra finirono con l’affossare la convinzione e la credibilità del thrash. I primi anni novanta videro tutti i leader di quella scena tentare avvicinamenti pericolosi all’ammorbidimento della band di Hetfield e ne uscirono quasi tutti con le ossa rotte. Alcuni titoli rinfrescheranno la memoria: “The Ritual” (TESTAMENT), “I Hear Black” (OVERKILL), “Countdown To Extinction” (MEGADETH, sempre contro ma sempre dietro…), “Kin” (XENTRIX) e, per l’appunto, “Force Of Habit” (EXODUS).
Con “Tempo Of The Damned”, se Dio vuole, si riparte dalle coordinate giuste. Ora che il thrash non è più una moda (non il VERO thrash per lo meno). Ora che i METALLICA non rappresentano più niente per nessuno. Ora che l’unica cosa che si può dimostrare (a se stessi e ai fans) è di essere in grado di spaccare come e meglio di tanti gruppuscoli cresciuti a pane e CRADLE OF FILTH, senza ossessioni discografiche o pretese di notorietà.
Tutto l’album si muove su tempi medi (rari gli eccessi velocistici e sempre nei ranghi), privilegiando l’impatto e la ruvida scorza del thrash d’epoca. Ottime le basi ritmiche, possenti e severe. Belli ovunque o quasi i cori di rigore e puntuale la batteria del sempreverde Hunting, a dettare trame magari già sentite, ma dannatamente efficaci e “straight in your face”. La scelta di suoni è impeccabile: evita la fredda modernità di “Force Of Habit” e ciononostante risulta credibile per un album del 2004, dando nuovo smalto ad una musica non proprio all’avanguardia in fatto di composizioni. Impressionante invece la prestazione di Souza, spesso più aspro e cattivo che in passato (ma solo in punti “tattici”) e all’altezza delle vecchie interpretazioni in tutti gli altri contesti. Pare rivitalizzato attraverso l’incattivimento, proprio come accadde a CHUCK BILLY su “Low” (TESTAMENT). “War Is My Shepherd” e “Shroud Of Urine” (che titolo!) sono le prove più tangibili di tale imbarbarimento, sentire per credere. Come anticipato, molti brani si adagiano su mid tempos, e questo è l’unico motivo per cui posso additare i nuovi EXODUS per non aver sfornato un “capolavoro”; brani che hanno comunque il notevole pregio di riportarci nella loro macchina del tempo ad un’era in cui la parola “mosh” aveva un significato. Tempi in cui tra le toppe dei kids non mancava mai il famoso “omino che poga” dei D.R.I…. “Blacklist”, “Culling The Herd”, “Throwing Down” (queste ultime due paiono uscite dalle sessions di “I Hear Black”! La seconda, in particolare, è il rimaneggiamento di una song di gary Holt e del suo progetto “WARDANCE”.) e “Sealed With A Fist” appartengono a questa schiera. A volte si potrebbe diversificare un po’ l’andamento inserendo cambi di tempo e vivacizzare il songwriting con qualche iniezione di follia; anche su “Impact Is Imminent”, non proprio un masterpiece in fatto di verve creativa, ed anch’esso incentrato sulla ricerca dell’impatto a tutti i costi, si trovavano momenti più estremi. Tolta questa osservazione (peraltro strettamente personale) non resta che gioire della qualità di quanto ascoltabile pressoché ovunque nell’album!
Un occhio di riguardo alla nuova versione dell’antica “Impaler”: una perla thrash del passato che mostra come non esista distinzione possibile tra vecchio e nuovo, neppure in generi estremi (in cui quindi si mette in conto che ciò che è estremo oggi divenga obsoleto domani): quando una song spezza il collo è SEMPRE una gioia sentirla. Punto.
Confermando la tendenza positiva man mano che l’album si avvia alla conclusione, ecco la title track: partenza moderata e poi via col massacro, accompagnati da un famelico Souza e dalle affidabili asce, stavolta slayeriane come non mai sui soli! Ottima e riuscita summa/sintesi di un disco formalmente perfetto.
Ciliegina sulla torta: la conclusiva cover degli AC/DC (“Dirty Deeds Done Dirt Cheap”), presente come bonus nella versione digipack europea, è veramente ben riuscita. Fedele all’originale, ha il classico spessore EXODUS in termini di pesantezza e Steve si rivela ottimo emulo del compianto BON SCOTT! Solo JOE COMEAU, ormai ex-ANNIHILATOR, aveva saputo cimentarsi in prove alla AC/DC di tale fattura. Insieme a “Beating Around The Bush”, omaggiata dai deathsters ILLDISPOSED sul loro “Retro”, la migliore resa estrema di un brano della band australiana!Consiglio sentito: comprare a scatola chiusa. Una volta tanto anche per i testi, non solo per la musica. Piacerà da morire ai thrashers incalliti, spiegherà a chi ha meno di vent’anni che il thrash non è stato inventato dai MACHINE HEAD e costituirà una lieta sorpresa per i metallers più generalisti!
Steve “Zetro” Souza, redivivo e redento dietro al microfono, rappresenta la conferma più tangibile di questa spettacolare e storica thrash reunion. Dopo l’ultimo album in studio che lo vedeva della partita (quel “Force Of Habit” del ’92 che rappresentò il canto del cigno per questi pilastri della Bay Area) abbiamo assistito allo stallo e ai vari atterraggi di fortuna degli EXODUS: rientro tra i ranghi del primo singer PAUL BALOFF (R.I.P.), un paio di inutili live albums per riempire un’attesa apparentemente infinita, partecipazioni a festivals tra alti e bassi, triste scomparsa dello stesso Baloff ed infine ricongiungimento con Souza (apparso talvolta dal vivo anche coi TESTAMENT, suoi ex-compagni nell’era pre-discografica sotto il moniker LEGACY).
Tanto per “urinare” controvento, dirò subito che “Tempo Of The Damned” non è un capolavoro come annunciato da più parti (vedremo perché). Ma è in assoluto una delle rentrée thrash più convincenti, questo sì. In linea con altri mostri della vecchia scena pronti al ritorno o già ufficialmente scesi in campo (DEATH ANGEL, VIO-LENCE, NUCLEAR ASSAULT, DESTRUCTION tra le prime file; ARTILLERY ed AGENT STEEL a qualche lunghezza) i nostri confermano di non esser tornati solo per reclamare un posto nella storia, o per racimolare qualche dollaro con le t-shirt. Gli EXODUS sono tornati per proseguire l’opera di massiccia distruzione iniziata col seminale e feroce “Bonded By Blood” (un “Kill’Em All” più schizofrenico e marcio) tanti anni orsono, e perpetrata poi con letali dosi di thrash quadratissimo: lezioni di violenza ripassabili con “Pleasures Of The Flesh”, “Fabulous Disaster” ed “Impact Is Imminent”.
Perché tale opera rimase disattesa lo sanno tutti coloro che seguivano la scena thrash allora. I METALLICA (che proprio dagli EXODUS prelevarono il discutibile HAMMETT) hanno sempre dettato legge in fatto di stile e tutti, volenti o nolenti (ovvero: a seconda della casa discografica), hanno finito col voler seguire i loro standard di suono, composizione e produzione. Ecco perché il grunge da una parte ed il “black album” dall’altra finirono con l’affossare la convinzione e la credibilità del thrash. I primi anni novanta videro tutti i leader di quella scena tentare avvicinamenti pericolosi all’ammorbidimento della band di Hetfield e ne uscirono quasi tutti con le ossa rotte. Alcuni titoli rinfrescheranno la memoria: “The Ritual” (TESTAMENT), “I Hear Black” (OVERKILL), “Countdown To Extinction” (MEGADETH, sempre contro ma sempre dietro…), “Kin” (XENTRIX) e, per l’appunto, “Force Of Habit” (EXODUS).
Con “Tempo Of The Damned”, se Dio vuole, si riparte dalle coordinate giuste. Ora che il thrash non è più una moda (non il VERO thrash per lo meno). Ora che i METALLICA non rappresentano più niente per nessuno. Ora che l’unica cosa che si può dimostrare (a se stessi e ai fans) è di essere in grado di spaccare come e meglio di tanti gruppuscoli cresciuti a pane e CRADLE OF FILTH, senza ossessioni discografiche o pretese di notorietà.
Tutto l’album si muove su tempi medi (rari gli eccessi velocistici e sempre nei ranghi), privilegiando l’impatto e la ruvida scorza del thrash d’epoca. Ottime le basi ritmiche, possenti e severe. Belli ovunque o quasi i cori di rigore e puntuale la batteria del sempreverde Hunting, a dettare trame magari già sentite, ma dannatamente efficaci e “straight in your face”. La scelta di suoni è impeccabile: evita la fredda modernità di “Force Of Habit” e ciononostante risulta credibile per un album del 2004, dando nuovo smalto ad una musica non proprio all’avanguardia in fatto di composizioni. Impressionante invece la prestazione di Souza, spesso più aspro e cattivo che in passato (ma solo in punti “tattici”) e all’altezza delle vecchie interpretazioni in tutti gli altri contesti. Pare rivitalizzato attraverso l’incattivimento, proprio come accadde a CHUCK BILLY su “Low” (TESTAMENT). “War Is My Shepherd” e “Shroud Of Urine” (che titolo!) sono le prove più tangibili di tale imbarbarimento, sentire per credere. Come anticipato, molti brani si adagiano su mid tempos, e questo è l’unico motivo per cui posso additare i nuovi EXODUS per non aver sfornato un “capolavoro”; brani che hanno comunque il notevole pregio di riportarci nella loro macchina del tempo ad un’era in cui la parola “mosh” aveva un significato. Tempi in cui tra le toppe dei kids non mancava mai il famoso “omino che poga” dei D.R.I…. “Blacklist”, “Culling The Herd”, “Throwing Down” (queste ultime due paiono uscite dalle sessions di “I Hear Black”! La seconda, in particolare, è il rimaneggiamento di una song di gary Holt e del suo progetto “WARDANCE”.) e “Sealed With A Fist” appartengono a questa schiera. A volte si potrebbe diversificare un po’ l’andamento inserendo cambi di tempo e vivacizzare il songwriting con qualche iniezione di follia; anche su “Impact Is Imminent”, non proprio un masterpiece in fatto di verve creativa, ed anch’esso incentrato sulla ricerca dell’impatto a tutti i costi, si trovavano momenti più estremi. Tolta questa osservazione (peraltro strettamente personale) non resta che gioire della qualità di quanto ascoltabile pressoché ovunque nell’album!
Un occhio di riguardo alla nuova versione dell’antica “Impaler”: una perla thrash del passato che mostra come non esista distinzione possibile tra vecchio e nuovo, neppure in generi estremi (in cui quindi si mette in conto che ciò che è estremo oggi divenga obsoleto domani): quando una song spezza il collo è SEMPRE una gioia sentirla. Punto.
Confermando la tendenza positiva man mano che l’album si avvia alla conclusione, ecco la title track: partenza moderata e poi via col massacro, accompagnati da un famelico Souza e dalle affidabili asce, stavolta slayeriane come non mai sui soli! Ottima e riuscita summa/sintesi di un disco formalmente perfetto.
Ciliegina sulla torta: la conclusiva cover degli AC/DC (“Dirty Deeds Done Dirt Cheap”), presente come bonus nella versione digipack europea, è veramente ben riuscita. Fedele all’originale, ha il classico spessore EXODUS in termini di pesantezza e Steve si rivela ottimo emulo del compianto BON SCOTT! Solo JOE COMEAU, ormai ex-ANNIHILATOR, aveva saputo cimentarsi in prove alla AC/DC di tale fattura. Insieme a “Beating Around The Bush”, omaggiata dai deathsters ILLDISPOSED sul loro “Retro”, la migliore resa estrema di un brano della band australiana!Consiglio sentito: comprare a scatola chiusa. Una volta tanto anche per i testi, non solo per la musica. Piacerà da morire ai thrashers incalliti, spiegherà a chi ha meno di vent’anni che il thrash non è stato inventato dai MACHINE HEAD e costituirà una lieta sorpresa per i metallers più generalisti!
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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