ICED EARTH - “The Glorious Burden” (SPV, 2004)
…”Matt Barlow” chi? Questa è fondamentalmente la prima ed unica domanda riguardo agli ICED EARTH targati 2004, dopo l’inserimento in formazione del tellurico TIM OWENS al posto del vecchio singer (comunque presente nelle backing vocals). Prima prova del rinnovato combo questo “The Glorious Burden”, ad inaugurare un promettente nuovo anno. L’album è disponibile in singolo CD e in edizione speciale “europea”, con bonus CD molto interessante, a completare quello che in teoria è un concept. Concept su cosa non lo capisco (scusate l’ignoranza). Sull’America? E pezzi come “Attila” che c’entrano? Sull’eroismo e la guerra in generale? Più probabile. Sulla storia? Esatto. Almeno secondo le note del leader Jon Schaffer nel ricco ed elegante booklet. Non scendo in disquisizioni di gusto politico (la musica ai musicisti, la politica a… beh, guardiamoci attorno…), ma si evidenziano dai testi e dalle parole di Jon un forte atteggiamento patriottico, con tutte le possibili polemiche che oggigiorno ciò può far scaturire, e una dichiarata passione per la storia, di cui egli si dice fervido studioso. Ecco la “storia secondo Schaffer” allora, che secondo le sue stesse parole dovrebbe “aprirci gli occhi”. Capisco che nelle scuole americane non si studi un benemerito dell’Europa e della sua storia/cultura (lo so per esperienza personale con studenti americani); a Jon invece sfugge che NOI la storia la studiamo (anche quella dell’America, guarda un po’) e con spocchia immagina che ci voglia tutta la sua cultura per aprirci gli occhi sulla Guerra di Indipendenza americana… Letti i testi non mi pare proprio che il Bignami Schaffer fosse indispensabile. Anzi, suona pure vagamente didascalico, zeppo di date e numeri esatti di morti in battaglia. Sullo stile “temino” per far contenta la maestra, insomma. Fine della polemica.
La musica. Ottima (per il genere, ovvero metal potente, quadrato, con un buon equilibrio tra true metal e “pacca” thrash in certi riff che ricordano gli esordi di …ehm… due cantanti fa). Tanta (almeno nella versione doppia che vale l’acquisto per contenuto e packaging). Nuova (Owens fa di tutto per non far rimpiangere il suo predecessore e porta una ventata di freschezza, con cui avrebbe potuto graziare pure i JUDAS se non fosse stato per qualche cinquantenne di nome Tipton, che voleva fare il “giovane” e Panterizzare ogni bene).
Gli echi dell’album sono molteplici e quasi sempre entusiasmanti. In atmosfere che spaziano con buona naturalezza tra epico, battagliero e melanconico troviamo tasselli della passata carriera I.E. (“Something Wicked” avrebbe potuto ospitare tranquillamente lo spettacolare anthem “Red Baron/Blue Max”), momenti Dickinsoniani (in generale la propensione per liriche storico/letterarie e, nello specifico, la sofferta interpretazione di Owens nei frangenti acustici di “When The Eagle Cries” e “Hollow Man”) e vocalizzi talvolta impressionanti di un Owens finalmente libero di fare quello che sa, reminiscenti del metal che fu: IRON, JUDAS, BLIND GUARDIAN (tolti gli eccessi pomposi) e compagnia bella, come già confermato dal mini apripista contenente l’ottima “The Reckoning”.
Ad onor del vero, qualche sbavatura stilistica c’è: 1) Non sempre traspare coesione tra i brani, in una indecisione tra “forma canzone” e “concept”. 2) Dei vecchi e vecchissimi Iced Earth è rimasta una certa ottusità da “crucchi” -benché non lo siano- nello sviluppare i brani: senti un riff e sai già quante volte sarà ripetuto; e guai a variare. Ma sono veramente piccolezze, specie dopo avere individuato quanto di buono ha il disco da offrire (la stessa cosa che uno si ripete ogni volta, dopo aver sentito l’ultimo dei BRAINSTORM, qualunque esso sia).
Escludendo a priori l’intro, che vince a mani basse bruciando la concorrenza dei prossimi undici mesi il contest “Track da skippare - 2004”, tutti i brani sono da segnalare per incisività (almeno musicale).
“Declaration Day” apre le danze con un mid-tempo solido, un valido solo su base rocciosa e, soprattutto, un Owens in ottima forma: lo screaming della seconda parte e in chiusura è una vera impennata di carattere e cattiveria. Peccato per il refrain un po’ ridondante e “da birreria”. La produzione appare subito old-style quanto basta, per suonare credibile concettualmente, e nel contempo accettabile per gli standard odierni.
“When The Eagle Cries” parte soffice ma tesa. Graziata da un crescendo stavolta ben concepito si apre bene sul ritornello. Magari arriva troppo velocemente, tanto da togliere suspence. Ma serve a ricordare che la tensione ed il pathos non si ottengono necessariamente con brani di tredici minuti. Il che non guasta. Coro eroico e assolo struggente di vecchia scuola. Nel finale Owens mette i brividi, purtroppo proprio quando la track sfuma. L’edizione europea propone anche la versione acustica in chiusura del primo CD. Non male.
“The Reckoning” ha un assalto iniziale molto tedesco, per fiondarsi in un rifferama stra-thrash. La voce di Owens irrompe come meglio sa, ovvero urlando come un maniaco: HALFORD con il piglio malato di KING DIAMOND! Il ritornello, come altrove, suona eccessivamente pomposo. Ma niente paura: stacco centrale meditato e Owens ci scaglia subito addosso un'altra mazzata di furia omicida, pompato dal riffing bastardo di Schaffer.
La doppietta “Greenface”/“Attila” ci rotola incontro subito dopo come un macigno, con un incedere chitarristico iniziale che pare estrapolato dal songbook dei TESTAMENT. Drumming impeccabile e quadrato del sempre puntuale Christy e, tanto per ribadire, eccellente prova del singer, che fonde alla perfezione ferocia ed epicità. Le chitarre, e a lungo andare il songwriting, risultano magari un po’ prevedibili, nel tentativo di privilegiare l’essenzialità (cavalcata alla ARMORED SAINT, ma senza “guizzi” particolari). In particolare la marziale “Attila” colpisce il segno: clangore guerresco evocato da testo e musica, per un anthem da battaglia, con tutti i cliché del caso ma efficace come ogni mazza ferrata che si rispetti. Nella parte centrale fa la sua bella figura un crescendo con cori alla Orff sovrapposti ad un letale tappeto degno dei MANOWAR “cattivi”, rantoli Adamsiani inclusi. Epilogo all’insegna dell’efferatezza vocale di un Owens vergognosamente cattivo!
“Red Baron/Blue Max” è una vera bomba. E ospita l’unico ritornello che mi piaccia veramente: senza indugi od autocompiacimenti, spezza il collo col suo contrasto semplice e “metal abbestia” (come unire il meglio di due scuole: Owens bercia “Red Baron” acuto come solo Halford saprebbe fare e il coro risponde “Blue Max!”, fiero, massiccissimo e ignorante come si soleva nel thrash ottantesco di ANTHRAX, OVERKILL e VIO-LENCE). In particolare la seconda porzione ha un impatto da paura. Insieme a “Valley Forge” (quest’ultima più dilatata e meno aggressiva) farà la felicità di chi predilige i tempi medi, emozionali e anthemici, con qualche convincente variazione sul tema.
“Hollow Man”, come anticipato, regala brividi Maideniani nei momenti tranquilli. Buone vibrazioni ed un ispirato assolo dell’ospite Ralph Santolla.
“Waterloo” non aggiunge niente di nuovo, regalando forse un ritornello corale alla tedesca di troppo. L’atmosfera comunque non è male. Uno di quei pezzi che si seguono volentieri con le lyrics alla mano.
Il bonus CD (intitolato “Gettysburg: 1863”) ci offre tre lunghe tracce per una mezz’ora creativamente anche più interessante del CD madre. Coadiuvati dall’Orchestra Filarmonica di Praga, il flavour storico/epico è stavolta scevro da vincoli compositivi e pare quasi di sentire gli Iced Earth più a loro agio. Persino il riffing di Schaffer, con i suoi limiti spesso evidenti, risulta arricchito e valorizzato da uno spettro musicale ampio come quello di un’orchestra di 55 elementi (!). Su Owens non aggiungo nulla che non si possa già immaginare. Semplicemente diabolico.
Immagino più longevo questo secondo CD, cui meriterà prestare sempre almeno un ascolto in più rispetto al primo, per complessità e effettiva qualità delle tre tracce. Se vogliamo il vero concept epico, per musica e testi (soggetto la tremenda battaglia di Gettysburg, in occasione del 140esimo anniversario), questo è pane per i nostri denti: “The Devil To Pay” e “High Water Mark” si conquisteranno la fiducia di chi ama sognare ad occhi aperti, per una volta ignorando il counter del lettore, l’orologio alla parete, o la campana della ricreazione…
Nota generale di merito per l’album nel suo insieme, aldilà delle preferenze e degli stilemi favoriti: gli Iced Earth ci sono, Owens pure. E insieme hanno qualcosa da dire. Hanno dimostrato, con “The Glorious Burden”, di essere in grado di regalare ai fans vecchi e nuovi una musica che ha radici profonde nel metal, e che sa essere comunque attuale; nonché di poter affiancare un nuovo disco con onore accanto a “The Dark Saga”&Co, pur avendo cambiato non poco nell’economia della nuova line-up.
Buon 2004 a tutti: con pollice alzato per una band e un singer di razza ritrovati.
La musica. Ottima (per il genere, ovvero metal potente, quadrato, con un buon equilibrio tra true metal e “pacca” thrash in certi riff che ricordano gli esordi di …ehm… due cantanti fa). Tanta (almeno nella versione doppia che vale l’acquisto per contenuto e packaging). Nuova (Owens fa di tutto per non far rimpiangere il suo predecessore e porta una ventata di freschezza, con cui avrebbe potuto graziare pure i JUDAS se non fosse stato per qualche cinquantenne di nome Tipton, che voleva fare il “giovane” e Panterizzare ogni bene).
Gli echi dell’album sono molteplici e quasi sempre entusiasmanti. In atmosfere che spaziano con buona naturalezza tra epico, battagliero e melanconico troviamo tasselli della passata carriera I.E. (“Something Wicked” avrebbe potuto ospitare tranquillamente lo spettacolare anthem “Red Baron/Blue Max”), momenti Dickinsoniani (in generale la propensione per liriche storico/letterarie e, nello specifico, la sofferta interpretazione di Owens nei frangenti acustici di “When The Eagle Cries” e “Hollow Man”) e vocalizzi talvolta impressionanti di un Owens finalmente libero di fare quello che sa, reminiscenti del metal che fu: IRON, JUDAS, BLIND GUARDIAN (tolti gli eccessi pomposi) e compagnia bella, come già confermato dal mini apripista contenente l’ottima “The Reckoning”.
Ad onor del vero, qualche sbavatura stilistica c’è: 1) Non sempre traspare coesione tra i brani, in una indecisione tra “forma canzone” e “concept”. 2) Dei vecchi e vecchissimi Iced Earth è rimasta una certa ottusità da “crucchi” -benché non lo siano- nello sviluppare i brani: senti un riff e sai già quante volte sarà ripetuto; e guai a variare. Ma sono veramente piccolezze, specie dopo avere individuato quanto di buono ha il disco da offrire (la stessa cosa che uno si ripete ogni volta, dopo aver sentito l’ultimo dei BRAINSTORM, qualunque esso sia).
Escludendo a priori l’intro, che vince a mani basse bruciando la concorrenza dei prossimi undici mesi il contest “Track da skippare - 2004”, tutti i brani sono da segnalare per incisività (almeno musicale).
“Declaration Day” apre le danze con un mid-tempo solido, un valido solo su base rocciosa e, soprattutto, un Owens in ottima forma: lo screaming della seconda parte e in chiusura è una vera impennata di carattere e cattiveria. Peccato per il refrain un po’ ridondante e “da birreria”. La produzione appare subito old-style quanto basta, per suonare credibile concettualmente, e nel contempo accettabile per gli standard odierni.
“When The Eagle Cries” parte soffice ma tesa. Graziata da un crescendo stavolta ben concepito si apre bene sul ritornello. Magari arriva troppo velocemente, tanto da togliere suspence. Ma serve a ricordare che la tensione ed il pathos non si ottengono necessariamente con brani di tredici minuti. Il che non guasta. Coro eroico e assolo struggente di vecchia scuola. Nel finale Owens mette i brividi, purtroppo proprio quando la track sfuma. L’edizione europea propone anche la versione acustica in chiusura del primo CD. Non male.
“The Reckoning” ha un assalto iniziale molto tedesco, per fiondarsi in un rifferama stra-thrash. La voce di Owens irrompe come meglio sa, ovvero urlando come un maniaco: HALFORD con il piglio malato di KING DIAMOND! Il ritornello, come altrove, suona eccessivamente pomposo. Ma niente paura: stacco centrale meditato e Owens ci scaglia subito addosso un'altra mazzata di furia omicida, pompato dal riffing bastardo di Schaffer.
La doppietta “Greenface”/“Attila” ci rotola incontro subito dopo come un macigno, con un incedere chitarristico iniziale che pare estrapolato dal songbook dei TESTAMENT. Drumming impeccabile e quadrato del sempre puntuale Christy e, tanto per ribadire, eccellente prova del singer, che fonde alla perfezione ferocia ed epicità. Le chitarre, e a lungo andare il songwriting, risultano magari un po’ prevedibili, nel tentativo di privilegiare l’essenzialità (cavalcata alla ARMORED SAINT, ma senza “guizzi” particolari). In particolare la marziale “Attila” colpisce il segno: clangore guerresco evocato da testo e musica, per un anthem da battaglia, con tutti i cliché del caso ma efficace come ogni mazza ferrata che si rispetti. Nella parte centrale fa la sua bella figura un crescendo con cori alla Orff sovrapposti ad un letale tappeto degno dei MANOWAR “cattivi”, rantoli Adamsiani inclusi. Epilogo all’insegna dell’efferatezza vocale di un Owens vergognosamente cattivo!
“Red Baron/Blue Max” è una vera bomba. E ospita l’unico ritornello che mi piaccia veramente: senza indugi od autocompiacimenti, spezza il collo col suo contrasto semplice e “metal abbestia” (come unire il meglio di due scuole: Owens bercia “Red Baron” acuto come solo Halford saprebbe fare e il coro risponde “Blue Max!”, fiero, massiccissimo e ignorante come si soleva nel thrash ottantesco di ANTHRAX, OVERKILL e VIO-LENCE). In particolare la seconda porzione ha un impatto da paura. Insieme a “Valley Forge” (quest’ultima più dilatata e meno aggressiva) farà la felicità di chi predilige i tempi medi, emozionali e anthemici, con qualche convincente variazione sul tema.
“Hollow Man”, come anticipato, regala brividi Maideniani nei momenti tranquilli. Buone vibrazioni ed un ispirato assolo dell’ospite Ralph Santolla.
“Waterloo” non aggiunge niente di nuovo, regalando forse un ritornello corale alla tedesca di troppo. L’atmosfera comunque non è male. Uno di quei pezzi che si seguono volentieri con le lyrics alla mano.
Il bonus CD (intitolato “Gettysburg: 1863”) ci offre tre lunghe tracce per una mezz’ora creativamente anche più interessante del CD madre. Coadiuvati dall’Orchestra Filarmonica di Praga, il flavour storico/epico è stavolta scevro da vincoli compositivi e pare quasi di sentire gli Iced Earth più a loro agio. Persino il riffing di Schaffer, con i suoi limiti spesso evidenti, risulta arricchito e valorizzato da uno spettro musicale ampio come quello di un’orchestra di 55 elementi (!). Su Owens non aggiungo nulla che non si possa già immaginare. Semplicemente diabolico.
Immagino più longevo questo secondo CD, cui meriterà prestare sempre almeno un ascolto in più rispetto al primo, per complessità e effettiva qualità delle tre tracce. Se vogliamo il vero concept epico, per musica e testi (soggetto la tremenda battaglia di Gettysburg, in occasione del 140esimo anniversario), questo è pane per i nostri denti: “The Devil To Pay” e “High Water Mark” si conquisteranno la fiducia di chi ama sognare ad occhi aperti, per una volta ignorando il counter del lettore, l’orologio alla parete, o la campana della ricreazione…
Nota generale di merito per l’album nel suo insieme, aldilà delle preferenze e degli stilemi favoriti: gli Iced Earth ci sono, Owens pure. E insieme hanno qualcosa da dire. Hanno dimostrato, con “The Glorious Burden”, di essere in grado di regalare ai fans vecchi e nuovi una musica che ha radici profonde nel metal, e che sa essere comunque attuale; nonché di poter affiancare un nuovo disco con onore accanto a “The Dark Saga”&Co, pur avendo cambiato non poco nell’economia della nuova line-up.
Buon 2004 a tutti: con pollice alzato per una band e un singer di razza ritrovati.
E con le corna levate al cielo, direi!
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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