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18 luglio 2005

LIONSHEART - “Abyss” (Frontiers, 2004)

Ammetto di aver fatto scemare il mio interesse per i LIONSHEART proprio al loro debutto (l’omonimo del ‘92). La delusione per quell’album non eccezionale mi fece poi trascurare i seguenti “Pride In Tact” (‘94) e l’obiettivamente scialbo “Under Fire” (‘98). Il fatto è che STEVE GRIMMETT rappresenta molto più di quello che, giocoforza, si è trovato ad essere negli anni ’90 (ovvero un superstite cui è sfuggito il grosso successo e che non ha saputo riciclarsi dopo il periodo dei gloriosi GRIM REAPER). Il corpulento ex singer di CHATEAUX e GRIM REAPER, tramontate le speranze di far decollare il proprio nome in ambito heavy metal puro, giocò pure la carta del thrash, prestando la voce agli ONSLAUGHT dell’interlocutorio “In Search Of Sanity”: disco così pedissequamente METALLICA-oriented da risultare superfluo ai più, nonostante alcuni ottimi numeri. E così STEVE si giocò la platea power (ammesso ce ne fosse ancora) e gli ONSLAUGHT quella thrash (tra l’altro l’album risultò il loro lavoro più commerciale, che nel thrash è sinonimo di tradimento). Il suo nome resta quindi sempre legato al passato, al roccioso e sfrontato metal dei GRIM REAPER, agli ingenui refrains di “Fear No Evil” e “Let The Thunder Roar”, alle ruvide sciabolate della chitarra di NICK BOWCOTT… In numeri: al 1984/1985.
Cosa rimane del glorioso passsato? La voce, perché quella obiettivamente c’è. Cosa manca? Ahimé, tutto il resto. E, sia chiaro, non perché “bisogna ricontestualizare la musica, stare al passo coi tempi, assorbire influenze moderne, produrre meglio” e simili scemate, che pure riempiono spesso la bocca dell’artista di turno, o del suo manager furbino. No no. Semplice e diretto, come furono i REAPER: mancano le canzoni, i ritornelli, gli arrangiamenti e la “convinzione” dei musicisti (brutta bestia, che ti è difficile trasporre in pentagramma e ne realizzi l’importanza solo quando latita). I LIONSHEART del 2004 si muovono su coordinate “medie”, non esagerano in cattiveria, infilano qualche ballata per smorzare i toni, non eccedono in orpelli (soli, fill, cambi, stacchi), si tengono ben lontani dallo stupire, manco fosse un delitto. E sfornano pertanto un CD che definirei “Prodi metal”, tanto siamo vicini alla letargia creativa.
L’inizio è molto rassicurante, con la brillante “Screaming”: tra RONNIE JAMES DIO e se stesso, STEVE cesella un’opener di tutto rispetto, puntualmente supportato dalla band. Ottimo il solo e di livello la sezione ritmica. Anche la seguente “Nighmare” parte alla grande, col suo mid tempo studiato e le aperture vocali ariose. Il buon crescendo del brano continua a far ben sperare: nonostante il ritornello non imprescindibile la track risulta studiata e resa in modo veramente convincente. Si abbassa il ritmo con “All I Got”, che resta comunque canzone dal piglio rock and roll di quello teso, sofferto. Ricorda qualcosa dei vecchissimi RIOT ma non disdegna slanci alla DAVID COVERDALE. Qui è il momento esatto in cui si inizia ad aspettarsi qualcosa di più dai musicisti, ma non si va aldilà del compitino di rigore. Con più foga e, …ehm.. “convinzione” (letteralemente “palle”), queste sole tre canzoni avrebbero potuto aprire e chiudere il CD, ed invece si ha l’impressione di essere sempre lì, in attesa del vero decollo.
Lo stallo è invece dietro l’angolo: la loffia e banale “I Need Love” inaugura la serie di colpi a vuoto. Non bastano la sola voce di GRIMMETT ed un bello quanto fuori posto assolo neoclassico a salvare una ballata che parte male già dal titolo (giuro, preferisco l’omonima di LL Cool J). Prosegue l’onesto mestiere alla “DIO fase minore” delle seguenti “How Can I Tell You” ed “I’m Alive”; soprattutto la seconda vince e convince, in forza di licks chitarristici degni di RANDY RHOADS e JAKE E. LEE. La JOE LYNN TURNERiana “Don’t Waste My Time” prova a tenere alto il tiro, ma l’attesa del botto si è trasformata ormai in timore che questo non arrivi più. “If You Cut Me” riporta difatti il disco giù, con inutili barocchismi di chitarra ed un piano elettrico stucchevole. GRIMMETT ovviamente sugli scudi, ma al servizio di un brano che è quello che è. “Save Me” potrebbe essere tranquillamente un brano degli ZEPPELIN, suonato da ZAKK WYLDE e cantato da DIO. Detta così è la canzone del secolo. Invece no. Sempre quel sapore in bocca, sempre quel senso di attesa. L’orgogliosa “Witchcraft” (buona la prova del basso) prosegue le danze con sporadici cali di tensione. “How Long” ha ancora la miccia bagnata e ci accompagna alla chiusura della title track: bei riffs ed atmosfera interessante, ma il brano è sviluppato senza nerbo e si chiude veramente male.
L’effetto deja-vu coinvolge anche l’unica cosa che aveva inaugurato così bene il disco: a lungo andare, nella seconda parte soprattutto, sorge il sospetto che pure la voce avrebbe potuto aiutare le tracks a diversificarsi, ad inserire quella marcia in più per rinverdire i fasti di un passato ormai lontano… E ribadisco che in quel passato la produzione era orrenda (si pensi solo a “See You In Hell” dell’84, che fu in pratica un demo pubblicato su LP) e la perizia tecnica di gran lunga inferiore. Non è questione di mode, suoni, assoli, tendenze, di cosa sia “cool” e cosa non lo sia, o di cosa sia “true” e cosa no. E’ puramente una questione di idee ed attitudine.

Amaro in bocca quindi per il ritorno in pista di un cavallo di razza che piacerebbe dare almeno per piazzato, visto il palmares, ed invece tocca ancora una volta vedere ingiustamente chino a brucare, ai blocchi di partenza.

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