LEGACY - "Legacy" (Chavis Records, 2003)
Debut per i LEGACY, combo dalle origini "multinazionali": batterista tedesco, cantante americano, chitarrista e bassista svedesi. Martin Andersson è dei quattro il più indaffarato, attivo negli States in svariati campi artistici (bassista, chitarrista, uomo d'affari, scrittore ed anche modello!). Il curriculum dei musicisti coinvolti nel progetto LEGACY parla, tra collaborazioni e condivisioni di palco, di DEEP PURPLE, DIO, MOTORHEAD, W.A.S.P., KINGS X, ALICE COOPER, YNGWIE MALMSTEEN & FIREHOUSE, LIZZY BORDEN, GEORGE LYNCH GROUP, SILVER MOUNTAIN, ALCATRAZ e THE APEX THEORY. Niente male, no?
Venendo alla band e al suo primo parto, premetto che nell'hard rock di classe dei nostri si distingue sempre un ottimo apparato chitarristico, sorretto da linee di basso corpose.
Purtroppo scelte di suoni e mixaggio, a cura degli stessi Andersson e Hansson, non sono il massimo in brillantezza e modernità, attestandosi su livelli comunque accettabili per un'autoproduzione.
In ogni brano, veloce o moderato che sia, il giusto spazio viene ritagliato per i singoli strumenti (voce compresa), forgiando brani articolati e ben arrangiati. Dai RAINBOW ad urgenze più metalliche, le scie inseguite con successo dai LEGACY sono molteplici: la JOE LYNN TURNERiana "Troubleshooter", la tosta "Underdog", la DOKKENiana "Mission Of Mercy" (il cui riff iniziale paga invece pegno a "10.000 Lovers"!), la (anche troppo) modernista "Tool" lo provano.
Certo, la voce non è sempre calibratissima: capita che lo screaming talvolta volutamente sguaiato mal si adatti alle chitarre "precisine" che lo sorreggono. E, sulla distanza, emerge una generale indecisione sulla direzione da prendere: la carne al fuoco è tanta e ben cotta, ma le tante collaborazioni ed esperienze musicali non sempre si traducono immediatamente in un'identità di gruppo.
Lo spessore tecnico salva il disco quando le idee sono un po' sfocate: le strumentali "2.4.1" e "Astral Sundown" sono il tipico toccasana per i guitar freaks, ed occhio anche al basso, veramente impeccabile! Breve ed inutile invece l'outro acustica "Thank You".
Se siete invece alla ricerca delle canzoni vere e proprie, non dimenticate di farvi graziare dalla delicata ballad "Autumn Rising" e dalla sua cromata evoluzione tra scuola americana e scandinava (TNT periodo d'oro in primis).
Personalmente spero che siate interessati anche voi alle songs piuttosto che alle sbrodolate strumentali, un azzardo rischioso per tutti, spesso simile al guardarsi le scarpe mentre si cammina: nessuno ti dice che non puoi farlo, ma se poi vai a sbattere contro un palo è solo colpa tua…
Freddino a tratti, musicalmente ineccepibile ovunque. Non male.
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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