HAVOC HATE - "Cycle Of Pain" (Indecent Media, 2005)
Immenso! Finalmente un album thrash fatto da gente che “sa come si fa”. Niente nostalgie fini a se stesse o furbi modernismi: gli HAVOC HATE dell’esperto Greg Christian (già bassista dei TESTAMENT... detto tutto) mixano la sostanza del thrash, coi suoi ritmi convulsi, l’impatto esasperato, la tecnica chitarristica ed il gusto per gli arrangiamenti classici, aggiornando la ricetta al 2005 e producendo quello che (per non sfigurare col glorioso passato Bay Area) dovrebbe essere preso da tutti a disco modello. Piccolo ma necessario distinguo: se per “thrash” intendete polpettoni mezzi hardcore conditi qua e là in salsa vocale agrodolce per accontentare tutti, state alla larga da “Cycle Of Pain”: questi “ragazzi” pestano duro e sono in missione per conto di Dio. Qui non c’è MTV che ti sdogana, niente finta rabbia adolescenziale, pantaloni dal cavallo basso e pose “giuste”... Dimentichiamoci quindi per un attimo di LAMB OF GOD, SHADOWS FALL o UNEARTH, perché negli States della musica alternativa ed estrema ci sono anche altri musicisti, che sanno dove vanno perché in primis sanno da dove vengono. Se quella dei gruppi succitati è universalmente riconosciuta come la “New Wave Of American Heavy Metal” quella degli HAVOC HATE è a suo modo la... “Old And Only Wave Of Real American Thrash Metal”! Qualche cambio in line-up rispetto all’esordio e un doveroso ritocco nei suoni e nella produzione (di cui si occupa il chitarrista dal cognome più adatto... Ordine!), una piccola etichetta come supporto: così la band si presenta al secondo album. E’ proprio il nuovo arrivato Tim Bouchee, che prende dietro al microfono il posto che fu di Jon Mallek sul debutto “This Violent Earth” a rivelarsi la famosa e necessaria marcia in più. In tutto “Cycle Of Pain” la sua voce versatile si muove a suo agio tra simil-growl alla Chuck Billy, screaming e atonalità pulite che richiamano alla mente i FORBIDDEN di metà carriera (indicative in tal senso l’elaborata “Tentacle” e la perfida “Wicked”), sempre sostenuta dal possente crunch chitarristico e dal drumming di Lipnicki (ex HADES), talvolta spiazzante per furia e groove.
Già nell’opener Tim scaglia immediatamente l’ascoltatore nel thrash frontale di estrazione TESTAMENT che caratterizzerà quasi tutte le tracks. I tempi generali non hanno neppure bisogno di essere troppo serrati: le accelerazioni studiate e le porzioni strumentali sempre eccellenti garantiscono infatti incisività ed una fluidità inconsueta per un prodotto del genere.
Capitolo a parte, tra le tracce, la splendida “Fiction”, che da sola vale l’acquisto dell’album: una power ballad come da anni non se ne sentivano. Eccellente atmosfera e progressione dalle geometrie impeccabili, toccando tutti i registri e mostrando muscoli, sensibilità, rabbia ed intelligenza. Piacerà a chi sa vedere nel thrash un mezzo (leggi: una chiave di lettura, un’espressione), non un fine (leggi: cliché ed autoindulgenze, oggi ancor più inutili).
“Alone” pare uscita dritta dal songbook dei METAL CHURCH era “Blessing In Disguise”, fatta eccezione per qualche passaggio vocale più estremo. “Cold Embrace” ricorda invece i MEGORA e la loro ricerca melodica su impianti solidi e cadenzati. “Buried In Lies”, tremendamente vicina nel riffing all’ex band di Christian, e la spietata corsa di “Rotting Hour” chiudono un album assolutamente indispensabile per ogni amante del thrash autentico: fresco, incazzato, concepito e suonato con gli zebedei fumanti. Buy or die!
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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