FORCE OF EVIL - "Black Empire" (Escapi Music, 2005)
Con formazione immutata e ad un anno e mezzo dall’esordio omonimo, accogliamo con gioia il ritorno della premiata ditta Denner/Shermann. Freschi e determinati, i FORCE OF EVIL non deludono le attese, sfornando un seguito degno del già più che soddisfacente debutto. L’album fila via che è un piacere, graziato da una produzione brillante e da un vero e proprio stato di grazia compositivo (per quanto sempre legato ai “padri fondatori”...). Raro oggigiorno imbattersi in metal classico che non sappia di precotto per teenager brufolosi o di squallido tentativo di arruffianarsi gli spelacchiati sopravvissuti dell’era d’oro. “Black Empire” è la negazione di entrambe le tipologie di operazione commerciale. Dai 15 ai 45 anni, sarà una gioia per voi farvi sconquassare da brani del calibro di “Back To Hell”: un autentico vascello nella tempesta! Colpiscono da subito la naturalezza del songwriting e la prevedibile perizia chitarristica, ma anche l’ugola di Steene ci mette del suo per sfondare ovunque possibile. Tra JUDAS, MERCYFUL FATE e KING DIAMOND solista, come da copione, si scorre piacevolmente trascinati dalle note cadenzate di “Cabrini Green” e dall’inquietante e DANEiana (nel senso dei SANCTUARY) “Death Comes Crawling”, che offre anche un ponderato inserto tastieristico ed una brevissima citazione dell’epocale “Black Sabbath”.
Il pathos dell’album compensa la mancanza di veri e propri rulli compressori: la doppia cassa senza cervello è per fortuna bandita, contenendo sfuriate power spesso fini a se stesse. Tra manierismi dal gusto innegabile e richiami a HELLION e certo U.S. metal “di razza” la tracklist non rivela colpi a vuoto. Forse “Disciples Of The King” è l’unico episodio non eclatante del lotto.
In “Beyond The Gates” le peripezie vocali di Steene lo portano a collocarsi in un’ideale interstizio lirico tra Halford e Michael Sweet (STRYPER), per quanto possa suonare bizzarro. In ogni altro brano il singer trova una sua dimensione, dimostrando notevole estensione e versatilità nei diversi registri adottati. Il picco di cattiveria, sfiorando il growl, è raggiunto nella horror-oriented “Vorhees Revenge”, tour de force che vede impegnata di brutto anche la sezione ritmica. Quello di maggior varietà stilistica è invece rappresentato dalla conclusiva “S.O.S.”, una semi-suite che gli amanti delle atmosfere da concept album non disdegneranno.
Complessivamente “Black Empire” è un’ottima conferma. Da comprare se avete apprezzato il debutto, da ascoltare per tutti gli altri. La peculiarità che la band pare voler mantenere (e rinforzare) è quella di suonare classica evitando alla grande l’anacronismo e muovendo significativi passi avanti. Il che, in questi tempi di furberie discografiche, è più raro di un capello di Halford.
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