IVORY MOON - "On The Edge Of Time" (Battle Hymns Records/SELF, 2005)
Non fatevi ingannare dalle facilonerie di molti entusiastici fans del metal sinfonico: gli IVORY MOON non sono la “next big thing”. Sono sì in tanti (sette), ma non hanno alcunché di grande.
Già il fatto che propongano il solito mélange power/neoclassico/tastieristico con doppie vocals ne fa un gruppo di second’ordine. Il fatto poi che suonino talvolta simili ai THERION o ai compatrioti SKYLARK e BEHOLDER (autentici campioni di antipatia, per quanto mi riguarda) non li rende neppure particolarmente appetibili per chi non è dentro a queste sonorità al 200%. Prendete parti a caso delle bands succitate, di MOON OF SORROW e primissimi NIGHTWISH; scuotete il mixer ed ecco servito l’aperitivo.
Come spesso accade si salvano (alla grande) le tastiere, di stampo pianistico, e le due asce di Fabrizio e Davide. Purtroppo non seguite dal resto della band, persa tra manierismi compositivi e loffie rimasticazioni di idee altrui. La sezione ritmica è negli standard del genere. Le due voci, che dovrebbero costituire il punto di forza, non si amalgamano, proseguendo su binari rigorosamente separati e talvolta tortuosi. L’ugola di Gianluca è affine a quella di Buddy Lackey (DEAD SOUL TRIBE), sebbene lontana dal suo lirismo contorto. Cecilia recita invece l’infelice ruolo della stereotipata “cantante d’opera al servizio del metallo” (taluni azzardano il termine “gothic”... perché, di grazia?). Puntuale e senza sbavature la prestazione dietro le pelli di Emanuele.
Per saggiare il prodotto saltate a piè pari i primi due brani, infelici scelte d’apertura visto il seguito. Quando non strafanno, infatti, gli IVORY MOON trovano in una maggiore linearità il bandolo della matassa (“Lord Of Mountain”). Di pari passo, l’eccessiva quantità di carne al fuoco nuoce in più di un brano: che senso hanno, ad esempio, i growl totalmente fuori luogo di “Hell”? Anche le vocals maschili darkeggianti tentennano in più punti. É paradossalmente più agevole il ruolo di Cecilia, incastonata nel cliché più completo che la formula del soprano prevede.
Consiglierei poi “Milites Templi” a chi predilige atmosfere epico/guerresche di una certa tempra; ma con tutte le riserve sin qui espresse, voce maschile inclusa (ancora l’insopportabile e “amatoriale” growl). Gli ascoltatori dal cuore tenero potrebbero invece apprezzare la power ballad “Raining Tears”, mediamente ispirata.
Tutte le composizioni sono abbastanza lunghe, facendo affiorare inevitabilmente pesantezze e storture tipiche di una band ancora non focalizzata sul risultato. Lavorando, smussando e, soprattutto, sintetizzando, tale risultato arriverà.
Rimandati quindi, non bocciati, grazie al fatto che si tratta di un debutto, e con l’alibi che la produzione insufficiente può aver minato l’efficacia di certi passaggi. Comunque lo si guardi, “On The Edge Of Time” rimane un disco di livello medio. Fosse un demo, o un album uscito sette/otto anni fa, sarebbe più facile essere di bocca buona e sperticarsi in elogi. Nel 2005 le aspettative sono necessariamente un po’ più alte.
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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