BIOMECHANICAL - "The Empires Of The Worlds" (Elitist, 2005)
E’ con una punta di orgoglio che mi ritrovo all’appuntamento con i britannici BIOMECHANICAL.
Primo, perché sono bravissimi e rappresentano il metal che “guarda avanti”: il loro scopo è creare musica nuova, coerentemente con tradizioni passate ma senza attaccarsi a mo’ di cozza agli stereotipi, come tanti cialtroni fanno.
Secondo, perché Hammerblow li ha un po’ “scoperti”, vedendoli live, recensendoli ed intervistandoli quando NESSUNA webzine italiana si era accorta di loro. Anche la sorniona stampa specializzata non ha dato loro lo spazio che meritavano; e sì che il promo del debut a qualcuno sarà pure arrivato, visto che io stesso indicai a John K le riviste italiane del settore quantomeno “decenti” a cui fare riferimento...
Ad ogni modo, John nel frattempo ha abbandonato la sua altra band, i BALANCE OF POWER, per concentrarsi su un solo progetto e non si può certo dire che abbia fatto male. Dal primo disco molte cose sono cambiate in meglio: videoclip in rotazione, recensioni, tour, etichetta e produttore. Ad un anno e mezzo dall’esordio giunge quindi “The Empires Of The Worlds” e tutto sembra finalmente sorridere ai nostri per realizzare il grande salto. Uscirà a giugno su Elitist, sottoetichetta della Earache, la stessa che ha pubblicato i nostrani EPHEL DUATH, portando loro fortuna e meritatissimi consensi internazionali. “Empires” è non solo degno successore dell’esordio, ma anche la sua naturale ed esaltante evoluzione. Suoni e produzione stavolta rasentano la perfezione; niente di che stupirsi, poiché in consolle si è seduto mister Andy Sneap (NEVERMORE, MACHINE HEAD, ARCH ENEMY, KILLSWITCH ENGAGE). Quanto alla musica, il mix futuristico di thrash, power, prog e arcigni modernismi mai fini a se stessi è ribadito a pieno.
“Enemy Within” è la prima mazzata di una serie che si preannuncia lunga e variegata: un turbine di metallo contorto che come nel debut frulla PANTERA, JUDAS e tecno-thrash incazzatissimo creando un amalgama pauroso. Furia e spasmi metalcore vengono riproposti nella title-track, simile a qualcosa già sentito su “The Awakening” (dal precedente “Eight Moons”) ed impreziosita da un assolo fenomenale, tra shredding e prog metal. Inutile rimarcare la sbalorditiva tecnica individuale, per la quale rimandiamo il lettore alla recensione del debutto; preme invece sottolineare l’accresciuta personalità, nonché la maggiore fiducia nei propri mezzi. In tutti i brani troviamo infatti elementi già noti, oramai trademark dei BIOMECHANICAL, ma spinti poderosamente agli estremi: i riff secchi di derivazione thrash sono ora ancora più tirati e micidiali; i pattern ritmici convulsi sono divenuti dei calderoni infernali; i soli brillanti sono turbini di note impazzite; la voce di John, tra Anselmo ed Halford, è adesso più letale del “peggior” Anselmo e più acuta dell’Halford in “trip da sirena”.
Di momenti da godere appieno ce ne sono parecchi. Il mostruoso pachiderma “Relinquished Destiny”, introdotto da vocals liquide che paiono veramente uscire dall’ugola di GEOFF TATE, la sincopata “DNA Metastasis”, il tour de force di “Survival”, la corsa all’impazzata di “Truth Denied” (che crea più di un dubbio sulla genuinità delle inumane drums, a dire il vero) o i fantascientifici squarci chitarra/tastiera della suite finale “Absolution”. Quest’ultima è un affresco dal piglio cinematografico, un intricato e potente “disco nel disco”, con cambi d’atmosfera eccellenti e suggestive parti corali, picco qualitativo ASSOLUTO dell’album.
Che dire. Io li adoro. Voi fate un po’ come vi pare; comunque sia questa volta non potete dire di non essere stati avvertiti...
Avanti a tutta birra nel futuro!
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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