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18 luglio 2005

GODDESS OF DESIRE - "Awaken Pagan Gods" (Armageddon Music, 2005)

Mancano all’appello le grazie di Medusa e l’ascia di Grev Drake, sostituito da poco con tale Cape Fear (ma uno normale almeno di nome no, eh?), ma la solfa non cambia molto.
Gli autori di divertenti e divertiti tributi alla purezza del metallo, dai titoli molto intellettuali tipo “Metal Forever” si ripresentano a noi col solito disco di riffoni semplici semplici, cori da memorizzare al volo, assoli elementari, fantasia crucca (ovvero sotto lo zero). Partiti come cover band di CARNIVORE, VENOM, CELTIC FROST e altri gruppi che in passato hanno almeno scritto dischi meritevoli, i GODDESS OF DESIRE continuano per una strada ambigua che li mantiene in pericoloso equilibrio tra fun-band e gruppo con velleità un attimo più concrete.
Quando provano a fare sul serio regalano anche momenti piacevoli: la burrascosa “Dead End Street”, il fiero e classicissimo anthem di “Victory Is Mine” e la stra-MOTORHEAD “Nothing’s Free” sono lì a provarlo. Quando invece la buttano sul “pecoreccio” scadono o, peggio, annoiano. “Holy War” parte bene ma non si evolve in niente che non sia già stato sentito mille volte, sia in ambito classic che power thrash. La lenta e quasi doom “Bloodstained Sight” risente di un songwriting da band alle prime armi (facciamo primissimi TIAMAT?), ma permette alla componente più marcia della band di emergere, lasciando tutto sommato l’ascoltatore soddisfatto. La title-track vuole omaggiare il thrash teutonico e la sua furia iconoclasta, riuscendoci nonostante qualche semplicismo che ricorda gli impeti giovanili di Peter Steele pre-TYPE O NEGATIVE. Altrove, nell’album, pare invece di avere a che fare con dei GWAR “miracolati” ed improvvisamente consci dell’importanza della melodia nella musica.
Attraverso il tosto up-tempo di “Demolition” (stupidotta quanto adatta come entrance theme in un match di wrestling) e poco altro degno di nota (forse solo la sfuriata alla TANKARD di “Booze”) si arriva lentamente alla fine del CD, senza scossoni né picchi d’entusiasmo.
L’immaginario un po’ fantasy e un po’ vichingo, un po’ “Pleasure Slave” e un po’ “omaggio agli Dei del Metallo” inizia in sintesi a stancare: i G.O.D. rimangono, anche al quarto long playing, una band per divertirsi. Divertirsi ascoltando e suonando però musica molto ordinaria, niente di più.
Con questa recensione si conclude, per quanto mi riguarda, la collaborazione con Hammerblow. Grazie ad Agnar per la guida e al Guardian per il fedele “appoggio informatico”. Ma, soprattutto, grazie a Voi che ci avete accordato la Vostra fiducia. Qualunque cosa succeda, “Stay tuned for more rock’n’roll”.

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