BANG TANGO - “Ready To Go” (Mascot, 2004)
“A volte ritornano”… E se si eccettuano sporadiche compilation giapponesi, un terzo full length commercialmente mandato al massacro (il controverso e mal distribuito “Love After Death”), live e raccolte di inediti, l'ultimo disco vero e proprio degli street rockers BANG TANGO risale all'89! Quel “Dancing On Coals”, con cui l'attuale formazione ha davvero poco a che spartire, appare lontano anni luce, tanto è cambiata la musica intorno a LeSte&Co. L'unico sopravvissuto della line-up originale, risorto a fine novanta con il progetto BEAUTIFUL CREATURES (grandi, grandi, grandi!), ha visto naufragare i sogni di gloria di ambedue le formazioni in due decadi di seguito. Visto che il lupo perde il pelo ma non il vizio, rieccolo tentare una disperata rimonta: trascinandosi appresso Alex Grossi, Anthony Focx e Matt Star dai suddetti Creatures ed aggiungendo Roach al basso, rispolverando il vecchio moniker, dichiara nuovamente guerra al music business, sordo più che mai ai richiami del rock'n'roll.
Non ero un fan sfegatato dei BANG TANGO ai tempi d'oro, ma, come diceva Novalis, “nella lontananza tutto diventa poesia” (grazie ancora, Perugina)...
Abbandonate le tentazioni funkeggianti dei primi due album, la band formato 2004 ricomincia da dove la scena losangelina era rimasta una quindicina di anni fa, quando il Cathouse ed altri postriboli rock ospitavano la florida scena sleazy. Non riprendono tanto da se stessi, quanto dal sound generale dell'epoca: FASTER PUSSYCAT, SOUTHGANG, JOHNNY CRASH, LOVE/HATE, ecc. Il che è un bene.
L'ovvio risultato è un CD ingenuo ma fresco, semplice ma divertente. Proprio come il titolo: “Ready To Go”. Pur non essendo un capolavoro, funge da piacevole “amarcord” in un'epoca di modernismi sfrenati: secco, equilibrato, vispo.
La prima parte del disco risulta quella più convincente. AC/DC e fuoco hard rock essenziale aprono le danze nella maschia title-track; a seguire la bilanciata “I Came To See You” (uno degli episodi più vicini ai Creatures meno irruenti), per arrivare all'ottima “I Ain't Easy”, che ha un crescendo anni '80 come raramente i nostri erano riusciti a creare proprio in quegli anni: bridge scodinzolante e ritornello che più FASTER PUSSYCAT non si può!
Per il resto c'è un po' di tutto: buone ballate (“Rainy Day” e “Most Important Thing”), rock schietto (“The Other Side”, “Save Myself For You” e la saltellante “She Knows Better”), qualche cenno agli HANOI ROCKS riflessivi (“Love The Life” e “Roll Me Over”) ed una semi-ballad (la finale “Carry On”); come da copione, il livello non scende mai eccessivamente. Certo, l'effetto sorpresa si esaurisce a metà album, ammesso che la band volesse/potesse effettivamente sorprendere qualcuno. Non è comunque un motivo per lasciare il disco sugli scaffali giustificandosi col solito “ecco altri disperati che ci riprovano”.
Io quello che potevo fare l'ho fatto. Ora dategli un ascolto e… fate vobis.
Una nota prima di chiudere. Gli svedesi HARDCORE SUPERSTAR vennero da una parte presentati come i nuovi GUNS N' ROSES, dall'altra accusati (da certa stampa maliziosa) di non essere “nemmeno i nuovi BANG TANGO”, tant'è vero che loro stessi, in un fenomenale trip autoronico, scrissero il brano “They Are Not Even A New Bang Tango”. Quello che vorrei sapere da qualcuno di quei giornalisti con la puzza sotto al naso è presto detto: ma facevano davvero tanto schifo i BANG TANGO?
Etichette: Archivio Hammerblow, giornalismo, metal
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