BASTA TEOCRAZIA: fuori Dio dallo Stato e dalla Pubblica Istruzione!
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04 febbraio 2007

Intervista per La Casa Dei Sognatori

Chi l'avrebbe detto che qualcuno sentisse il bisogno di intervistarmi? Ringrazio Aldo de La Casa Dei Sognatori e posto il botta e risposta anche qui:
1) Solita domanda per rompere il ghiaccio: qual è il primo libro che ricordi di aver letto in vita tua?
"Cipì", di Mario Lodi, come la maggior parte dei miei coetanei.
2) Fin qui abbiamo chiesto a diversi blogger laureati o laureandi di esporre la propria opinione sull’universo scolastico italiano. Ci pare interessante poter leggere il parere, una volta tanto, di un "professore". Che idea ti sei fatto, in questi anni, al riguardo?
Premettendo che ciascuno deve commentare e giudicare solo ciò che ha vissuto, ho una visione complessiva della Scuola italiana solo parzialmente negativa (sarò un bastian contrario). Le lacune sotto gli occhi di tutti sono innegabili, è vero: mancanza di collegamento tra mondo dell'istruzione e mondo lavorativo in primis. Ma quanto ciò sia imputabile "solo" alla scuola è tutto da dimostrare: cosa fanno le imprese per contestualizzare e modellare laureati in cerca di occupazione? L'esempio dell'Italia post legge Biagi è tremendamente illuminante: niente. Qualunque occasione è buona per scaricare addosso alla scuola l'ipocrisia, la mancanza di coraggio e talvolta di intelligenza imprenditoriale di chi il lavoro lo dovrebbe "dare", non "prendere". Alternative ce ne sono, ma si tira sempre il ballo il famigerato "modello americano", che non mi è mai piaciuto. Per esperienza personale, insegnando a studenti universitari americani, ti giuro che non cambierei mai uno studente di livello medio basso ma nostrano con uno di livello medio-alto formato secondo i loro schemi. Non è patriottismo il mio (termine e concetto che mi ripugna): concepisci che un universitario non sappia scrivere correttamente nella lingua che parla? Ebbene, gli americani sono così. Da ragazzo credevo che le "gare di spelling" che tanto spesso apparivano nelle serie TV statunitensi fossero poco più di eventi pseudo-folkloristici per rafforzare i legami familiari nel contesto scolastico. Mi sbagliavo di grosso e dopo quattro anni di insegnamento te lo vergo a sangue: la maggior parte di loro commette errori di sintassi, di ortografia, di grammatica che qua sarebbero inconcepibili alle scuole medie. Per non parlare della loro miserrima "cultura generale", che non servirà nell'immediato del colloquio lavorativo, ma è sintomo di una superficialità della formazione che fa anteporre il risultato all'idea, l'uso al valore, il vantaggio alla conoscenza. Perfetto riflesso di un DNA culturale che non sono il primo a criticare. Spero vivamente di non essere neppure l'ultimo.
3) Tuttavia, fino a qualche anno fa eri uno studente anche tu. Qual è l’autore che hai mal digerito sui banchi di scuola o d'università? E c'è un testo (il classico "polpettone") che speri di non rivedere mai più in vita tua?
Alle medie "Il piccolo principe" fu duro da digerire: lo trovavo petulante e forzato. Al liceo ricordo di aver odiato "La suora giovane" di Arpino. Anche "Senilità" di Svevo mi deluse: ricordo che la prima cosa che dissi appena finito il libro fu "Ma questo è un romanzetto rosa sulle frustrazioni della mezza età". Per me era quello il problema. Mi fu replicato che era quello il bello del libro. Non so. Rileggendolo ora magari lo troverei geniale, essendo arrivato a 33 anni... Sui testi universitari sono sincero: non mi ricordo nemmeno un titolo. Ero già rassegnato al'idea che leggere fosse in quel contesto una cosa "da fare" e "da usare". Ecco perché ho scoperto la gioia reale della lettura solo in separata sede. Non fraintendermi: non invoco modelli disciplinari che rendano la lettura "bella", "divertente" o altro. Il culto dell'entertainment, mi si chiami pure snob, è dilagante quanto abusato. Esiste il leggere per sapere (chiamiamolo "informativo"), il leggere per imparare ("formativo") e il leggere per il puro gusto dell'esperienza in sé, aldilà dei contenuti (affine sì all'entertainment, ma totalmente scollegato dall'istruzione). Ragiono per schemi ma sono convinto di quello che dico. E' un po' come nella vita: ci sono cose che devi sapere, altre che devi fare ed altre ancora che ti ripagano per la rottura delle precedenti due... Mischiare le carte in tavola non porta necessariamente risultati migliori.
4) Nel tuo blog ti occupi spesso di un genere musicale, l'heavy metal, notoriamente snobbato dalla massa e dai critici a la page. Lo stesso accade sempre più spesso in ambito letterario. Ci sono dei libri che, a tuo parere, meriterebbero di uscire dal semi-anonimato per godere così di una maggiore esposizione?
Il metal è il segno evidente della sindrome di Peter Pan da cui sono afflitto. Tentando un improbabile ma curioso parallelo direi che il "metal" della letteratura lo si trova in due settori: la fantascienza, spesso snobbata dai puristi, e la letteratura per ragazzi, ghettizzata per motivi abbastanza ovvii ma sbagliati. Sono ambiti in cui pare prevalere la fantasia, lo sgancio dalla razionalità e dal serioso squallore dell'adulto borghese o imborghesito. Invece trovi classici minori di autori stranoti, che sono a tutti gli effetti dei romanzi di fantascienza o testi rivolti ai ragazzi solo nelle intenzioni, avendo sottotesti più che validi e diversi livelli di lettura (come degli ipotetici "Simpsons" della letteratura). Orwell, Huxley e London possono servirti per entrare nella fantascienza dalla porta principale, ma poi in stanze attigue ci trovi Matheson, Herbert e Wyndham, di solito relegati nel "circuito chiuso" degli Urania-dipendenti. Allo stesso modo puoi partire da Calvino e K. Jerome per ritrovarti tra i libri illustrati del Dr. Seuss (non dimenticherò mai "Lorax, storia di un nano che parlò invano"). Basta strappare quel fastidioso ed accademico velo di Maya che ci viene imposto come separazione del "noto" dal "meno noto", del "socialmente accettato" dal "prodotto di genere". Quando le intenzioni narrative sono affini il lettore incuriosito non dovrebbe tentennare, ma esplorare e giudicare da sé. Poi, intendiamoci, dipende anche da come tira il vento: un giorno vedi sullo scaffale del supermercato "Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare" di Sepúlveda e senti che devi comprarlo perché "se è lì è bello, e poi ne parlano tutti", ma vai in libreria e ignori "Il superstite" di Cassola perché non ne hai mai sentito parlare "e quindi perché buttare dei soldi?" (come se i libri costassero molto, altra comoda leggenda metropolitana). Anche il settore dei "comici", etichetta applicata come marchio d'infamia, ha le sue chicche. Chiaramente non mi riferisco ai libri "un tanto al chilo" per i fans di Zelig, ma allo stralunato futurismo pop di Mark Leyner ("Mio cugino il mio gastroenterologo"), del primo Luttazzi ("Adenoidi"), di Rezza ("Son[n]o") e di Bergonzoni ("E' già mercoledì e io no"), per quanto negli ultimi due casi la componente mimica sia essenziale e difficilmente riproducibile su carta.
5) Ci sembra che il genere umoristico ti sia particolarmente congeniale: autori come Luttazzi e Bergonzoni rientrano tra gli scrittori "di genere" da te amati. Negli ultimi anni, come già rilevato da Daniele Tarlazzi, si è assistito ad un’invasione di testi scritti da comici del piccolo schermo: ritieni interessanti anche quelli o preferisci rivolgerti altrove?
I grandi numeri mi fanno pensare che il mercato tagli e cucia quei libri su misura, "instant books" che vivono di rendita e durano come una farfalla. Qua e là ho trovato prodotti che sono riusciti a sopravvivere alla cornice televisiva che dava loro il senso originario, ma il motivo è solido: Luttazzi e Bergonzoni nascono prima come artisti, poi come "comici visti in TV". Hanno una sensibilità, un acume, una genialità di stile e contenuti che esula (e non è neppure richiesta) dai format televisivi, sempre pron(t)i alla banalizzazione. La differenza è netta: la ciurma di Zelig sforna libretti prefabbricati, scritti poi da chi non si sa, che devono rinnovare un sorriso già vecchio e forzato dalla logica dell'applauso registrato, del farsesco "aspetta che ti racconto una barzelletta" (e già il sorriso muore); Luttazzi e Bergonzoni inventano, raccontano e "poi", Sue Emittenze permettendo, te lo vengono a sintetizzare in TV. I primi scaldano una minestra che già sapeva di dado, i secondi servono un'aragosta fumante su un vassoio d'argento, ma al ristorante ci devi andare tu. Oppure ti accontenti del "doggy bag" televisivo. Non è un problema recente, comunque. Che il ruolo cinematografico/televisivo precedesse o no la carriera da scrittore, illustri precedenti storici testimoniano la non perfetta continuità qualitativa tra schermo e carta stampata. Penso a Villaggio e Marenco. "Fantozzi" ha un suo senso tutt'oggi, sia come libro che come film; le invenzioni di Marenco invece, simpaticamente naif sullo schermo, sono oggi assolutamente illeggibili.
6) Tra i tuoi libri preferiti figura "Il superstite" di Cassola. E la nostra amica Valeria ha definito Carlo Cassola uno dei pochi autori in grado di "riuscire a trasmettere emozioni come dolcezza, stupore, riflessione, pace e, soprattutto infondere nel lettore dei saggi insegnamenti di vita". Concordi con questa interpretazione?
Concordo, per quanto la parola "insegnamenti" mi metta sempre paura (scherzo). Dovessi darti una motivazione per scegliere un libro di Cassola da leggere (che so, "Tempi memorabili") ti direi la spontaneità. Non è facile narrare storie semplici, cucite su personaggi semplici, profumate di emozioni semplici... e non essere banali. C'è solo un modo per farlo: essere spontanei, essere ciò che si racconta. Per me Cassola "è" quello che ha scritto. Ha la leggerezza, l'ingenuità, la capacità di stupirsi che anche tutti noi sappiamo di aver avuto, quindi è naturale ritrovarcisi e sentirsi "salvi". Chi come Fausto, chi come Anna. Credo di aver constatato una simile e sorprendente capacità di "dipingere a parole semplici" solo in Pratolini.
7) Ami il rock e il cinema di tensione; una visione "ingenua", nonché stereotipata, è solita tracciare una terza linea, che conduce direttamente alla letteratura "nera". Tuttavia, nella tua lista dei libri amati figura soltanto "Io sono leggenda" di Matheson, almeno tra quelli di stampo thrilling/horror. Sappiamo già che Stephen King non lo stimi granché. Ti chiediamo comunque un parere su questi scrittori: E. A. Poe, H. P. Lovecraft e Clive Barker.
Poe e Lovecraft rimangono dei classici, per carità. Non li cito mai perché ho letto relativamente poco e mi piacciono sì, ma non mi fanno impazzire. Preferisco Polidori, Bulgakov o la Shelley. Barker prometteva bene ma l'ho perso di vista dopo l'esplosione della splatter generation, che ha partorito cose buone e meno buone. Alla fin fine ho idee troppo parziali su tutti per poterti dare giudizi fondati, sorry.
8) I componenti di una boy-band stanno per svaligiare la tua preziosissima biblioteca privata, e a meno di commettere un omicidio, puoi portare in salvo soltanto cinque libri. Su quali testi cadrebbe la tua scelta?
Se una boy-band entra in casa mia spero sia solo per chiedere da che parte si esce, ma glissiamo...
Se posso essere banale opto per:
1) "La notte del drive-in" (Joe Lansdale)
2) "E Johnny prese il fucile" (Dalton Trumbo)
3) "Alta fedeltà" (Nick Hornby)
4) "Fame" (Knut Hamsun)
5) "Come eliminare fisicamente una boy band, farla franca e salvare cinque libri, questo incluso" (Jon Vendetta - Zelig Editore)

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2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Ci siamo avvicinati a Lansdale con "Freddo a luglio" e ne siamo rimasti folgorati. Lansdale è indubbiamente uno dei più interessanti scrittori contemporanei. "La notte del drive-in" ha un che di "magico"! Si divora in un niente e ha lo stesso sapore dei buoni vecchi film di Romero. Ma "Freddo a luglio" è un gradino più su. L'hai letto?
Aldo e Fra

09 febbraio, 2007 13:00  
Blogger JonVendetta said...

No, non l'ho letto.
Proverò appena ho tempo e voglia di riaprire un libro (dovrei avere un buco tra il 4 e il 6 luglio 2048...).
Se posso muovere una critica a "La notte del drive-in" credo che nel finale si butti un po' via con concessioni quasi demenziali, ma resta un libro unico e "forte" sotto molti aspetti. In effetti mi ero ripromesso di rileggerlo. Vuol dire che a luglio 2048 farò una due-giorni dedicata a Lansdale!
:-)

12 febbraio, 2007 19:51  

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